Aristotele in autobus

Qualche giorno fa, in autobus, verso l’ora di pranzo, ho inteso uno studente del primo anno di filosofia (informazione carpita poco prima) dire all’amico seduto vicino che Aristotele, insomma, era un borghese, perché secondo lui la classe sociale migliore era quella media. L’altro annuiva, e aggiungeva che infatti era stipendiato da Alessandro Magno. Allora una ragazza, che solo in quel momento ho capito essere con loro, e ascoltava lo scambio edificante seduta poco più avanti, si è voltata e ha fatto notare al secondo che il suo commento era fuori luogo, perché se era a stipendio da Alessandro, allora, per compiacerlo, avrebbe dovuto dire che la classe migliore era quella aristocratica. Il primo allora sentenziava che evidentemente Alessandro governava con l’appoggio dei borghesi.

Immagine: cd Atena pensosa, stele in marmo pario, ca. 470-460, Atene Museo Acropoli

Le mie cognizioni di filosofia aristotelica, benché di poco superiori a quelle di quei tre ragazzi, mi hanno permesso al momento di ritenere che quanto dicevano fosse poco aderente al vero.
Tuttavia, non capitando spesso di ascoltare tre ragazzi che parlano di filosofia, anzi capitando ciò rarissimamente, ormai, non ho potuto fare a meno di provare una forte simpatia per loro, e in particolare per quella loro critica da sinistra ad Aristotele, che mi ha ricordato le molte ineffabili e approssimative convinzioni che nutrivo quando avevo la loro età, io e quelli della mia generazione.
Poiché di quell’età ho conservato, se non altro, la curiosità, ed anche per il senso di colpa di non ricordare esattamente in quali termini Aristotele esprimesse la questione, appena a casa ho preso sfogliare la Politica, trovando, dopo qualche infruttuosa ricerca, il passaggio in questione, nel libro quarto. In realtà tale questione emerge in vari luoghi dell’opera, ed in realtà non credo nemmeno ne costituisca l’assunto principale.
Con l’occasione ho però potuto constatare ancora una volta quanto la politica non sia cambiata affatto dai tempi di Aristotele, o meglio, quanto non siano cambiati affatto gli esseri umani e la società che hanno creato.
Ne è testimonianza, ad esempio, il seguente passaggio, nel quale Aristotele, dopo una veloce analisi, che si potrebbe dire socio-antropologica (nemmeno una delle migliori e più aderenti alla realtà attuale presenti nell’opera), giunge ad una conclusione tanto semplice quanto tragica, con la calma propria di chi descrive un dramma senza rimedio, scrivendo sopra un foglio lettere e parole che, pur formando un senso, tali rimangono.

In tutti gli stati esistono tre classi di cittadini, i molto ricchi, i molto poveri, e, in terzo luogo, quanti stanno in mezzo a questi. Ora, siccome si è d’accordo che la misura e la medietà è l’ottimo, è evidente che anche dei beni di fortuna il possesso moderato è il migliore di tutti, perché rende facilissimo l’obbedire alla ragione, mentre chi è eccessivamente bello o forte o nobile o ricco, o, al contrario, eccessivamente misero o debole o troppo ignobile, è difficile che dia retta alla ragione.
In realtà gli uni diventano piuttosto violenti e grandi criminali, gli altri invece cattivi e piccoli criminali – e delle offese alcune sono prodotte dalla violenza, altre dalla cattiveria. In più costoro non rifiutano affatto le cariche né le bramano – tendenza l’una e l’altra, dannosa agli stati. Oltre ciò, quelli che hanno in eccesso i beni di fortuna, forza, ricchezza, amici e altre cose del genere, non vogliono farsi governare né lo sanno (e quest’atteggiamento traggono direttamente da casa, ancora fanciulli, perché, data la loro mollezza, non si abituano a lasciarsi governare neppure a scuola), mentre quelli che si trovano in estrema penuria di tutto ciò sono troppo remissivi. Sicché gli uni non sanno governare, bensì sottomettersi da servi al governo, gli altri non sanno sottomettersi a nessun governo ma governare in maniera despotica.
Si forma quindi uno stato di schiavi e di despoti, ma non di liberi, di gente che invidia e di gente che disprezza, e tutto questo è quanto mai lontano dall’amicizia e dalla comunità statale, perché la comunità è in rapporto con l’amicizia, mentre coi nemici non vogliono avere in comune nemmeno la strada. [ Aristotele, Politica, IV (Δ), 11, 1295b, 2-26 (trad. R. Laurenti) ]

Qualche giorno dopo, cercando altro, mi sono imbattuto nel seguente passaggio di Giovanni Pugliese Carratelli, in qualche modo, glossa del precedente.

L’opera di Cleone aveva certo un aspetto demagogico; ma così come nella politica interna come nell’estera egli non fu innovatore rispetto a Pericle, e proseguì risolutamente per la via da quello segnata. Mancavano tuttavia a lui, come agli altri esponenti del partito radicale [ovvero della fazione radicale del partito democratico] la raffinata cultura e la sensibilità politica di Pericle, sì ch’essi apparivano piuttosto uomini di parte e violenti fautori di un imperio della loro polis sugli Elleni, che non assertori dell’egemonia di Atene ‘scuola dell’Ellade’ in nome di un alto ideale di cultura e di vita politica. [ G. Pugliese Carratelli, Storia Greca, Milano-Varese 1967, pp. 138-9]

Pubblicato da Sandro Lorenzatti

Archeologo e Scrivano

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