L’opera al grigio (Ostia)

Col cielo grigio giunse un vento umido e freddo dall’entroterra di Ostia, dalle paludi e dalle pinete, dalle piscine e dalle leccete, passando tra le casupole e le capanne degli abitanti di quei luoghi. Portava l’odore del fumo di poveri fuochi, delle dita che lo avevano attraversato, della resina, delle ciliegie di mare e della sabbia delle dune.

Venne per sentieri incontrando le nostre ombre che ancora li correvano, le ombre di noi ragazzini, armati di lunghi rami trovati a terra, o strappati agli alberi, scelti tra i più dritti, e appuntiti con impensata perizia col ferro e col fuoco. Inseguivamo altre ombre, che sempre si dileguavano, e prendevamo possesso per interi pomeriggi delle terre tra Procoio e il Canale dello Stagno, lanciando oltre l’acqua ferma grida di guerra e anatemi alla terra che iniziava dopo l’acqua ferma, che un giorno l’avremmo attraversata, che un giorno avremmo posseduto anche quella.

Con rami acerbi e rottami di mobilia povera, abbandonata nella macchia, alimentavamo un fuoco da cui sprigionava un gran fumo, e ristavamo in silenzio, ammirando la nostra grande opera al grigio.
L’odore di quel fumo rimaneva sulle nostre dita fino a cena, e nemmeno il sapone lo toglieva perché riconoscendolo si fondeva con esso, dando vita a nuova fragranza di luoghi vicini e antichi che già, sulla carta del nostro ricordo, perdevano i contorni e la nitidezza somigliando sempre più a macchie di fumo bianco, grigio e nero.

Quelle cose grigie e sfocate del passato tornano di tanto in tanto col vento, recando ancora speranze di vittorie e di scoperte, e di molto altro che nessuno saprebbe più dire.
Non sapevamo che solo una notte ci separava dal sole accecante, caldo, che avrebbe illuminato le terre desolate e riarse del futuro

Il Canale dello Stagno prima dell’ingresso all’Idrovora, che regola il livello delle acque che un tempo formavano lo Stagno di Ostia (foto SL)

Pubblicato da Sandro Lorenzatti

Archeologo e Scrivano

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