Le Fantôme du Louvre

Mentre trascrivevo a penna alcune note aggiunte a matita da un revisore anonimo ai margini delle pagine porose del Catalogue sommaire des marbres antiques, Belphégor, le fantôme du Louvre, portato dal suono di un flauto, attraversava indifferente il muro di fondo del corridoio cieco sul quale affacciava la piccola sala di lettura in cui mi trovavo. Parlavo al vento e scrivevo nell’acqua, indifferente, portato dal suono di un flauto verso il muro di fondo di un corridoio cieco.

In un lampo di sogno di un colpo di sonno vidi me stesso, anni dopo, tentare di progettare di tornare in quello stesso posto, a quella stessa ora, con quella stessa luce, per annotare cose che mi erano sfuggite, o che il tempo mi aveva impedito di annotare, con la consapevolezza che tutto quello che c’era da scoprire lo avrei dovuto scoprire già allora, ma quando il sonno fu finito in un lampo non rimase traccia del sogno, se non il frusciare del lungo vestito nero del fantasma sui marmi antichi fatti a pezzi e riutilizzati in lastre in bella e lucida posa sui pavimenti delle sale.

Foto da schermo (serie tv Belphégor)

Dei venerdì sera del fantasma, che allora mi appariva solo per onde televisive, avevo trattenuto la paura, non la curiosità, eppure questa, in qualche modo, aveva poi preso il sopravvento, dominando tutta la mia vita intera.
Stavo formando altri ricordi attraverso gesti indeterminati che premevano in direzione del buio perché, certamente, oltre il buio c’era qualcosa.

Paris, Pont au Change (foto SL)

Ogni volta che ho visto il Museo ho visto il passaggio che conduce alla Senna, e sentito il vento freddo che sempre lo attraversa, e sempre ho avuto l’impressione di essere andato via troppo presto, o di non essere nemmeno entrato,

Place Dauphine, alla punta dell’isola, sarebbe stato un rifugio. L’altro, la Cour Carrée. Su un altro asse, Saint-Sulpice e Saint-Martin.

La nebbia nasconde il tempo, lo spazio (così almeno sembra, impedisce alle persone ed ai momenti che ricordo di tornare alla vista, o nel cerchio dell’apparire dell’essere. L’intera illusione dipende da me, da sempre: dal terrazzo arancio al sole ai laterizi rossi scheggiati da quelli cui la nebbia impedisce di tornare alla vista alle ombre etrusche sulla prima sera degli echi al pomeriggio piovoso di largo Arenula.

Paris, Pont au Change (foto SL)

Ogni cosa poi scomparve. No. Me ne andai per paura per noia per nevrosi per desiderio. Lasciai ogni cosa dov’era, a prendere il tè, mentre il progresso e le responsabilità ch’esso impone mi spezzavano le reni altrove (dove ogni cosa non è mai piena, ogni cosa non è stata più piena) (dove i pochi indizi non hanno fatto altro che, nient’altro che acuire la mia curiosità, che non si sazia mai).
E quando torno davvero non riesco a percepire che il loro fruscìo e minuti movimenti con le code degli occhi (paura di fissarli), e davvero non riesco mai a capire chi sia il fantasma.

Pubblicato da Sandro Lorenzatti

Archeologo e Scrivano

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