Trilogy

1
Quei ricordi sembravano lontani nello spazio più che nel tempo. Come quando d’inverno si ripensa ai luoghi delle vacanze, essi apparivano lontani eppure nuovamente raggiungibili.
Nessun sentimento di perdita irreversibile, dunque, nessun dolore. Ma una continua tensione a tornarvi di nuovo che, pensai, a lungo andare poteva essere anche peggio del dolore. In ogni caso iniziai a temere che questa sensazione mi impedisse di andare avanti e costruire nuovi ricordi, nuovi tempi e nuovi spazi.

2
Avrei collezionato, se fosse stato possibile, tutte le lettere che formavano la storia di quei ricordi, tentando di ricostruire frasi e periodi che meglio li avrebbero riportati in vita.
In realtà lo avevo già fatto, inconsciamente, bastava soltanto estrarle dal pensiero e dirle, oppure pensarle. Lettere di memoria, l’intero alfabeto della memoria, che poi era a ben vedere lo stesso del presente e sarebbe stato lo stesso del futuro.

3
Eppure accadeva, come accade a tutti in questi casi, che tutto sfuggisse all’osservazione precisa, come i fosfeni dell’occhio, che si lasciano solo intravedere di scorcio. Era stato sempre così e sarebbe sempre stato così.
Dunque constatai di essere ancora vittima di una visione diacronica, e di non riuscire ancora a trovare la strada della comprensione simultanea del tempo e dello spazio, che altro non sono che lo sfondo dei ricordi e dei presentimenti, i quali, in qualche modo, sembrano pulsare come fossero fatti di nervi e di sangue.
Ma avevo ricominciato a pensarci, e a scriverne. Non era poco.

Le immagini: Anne e Patrick Poirier, «Ruins», «Memory» , «Fragility», serie «Fragility», 1996 (“Romamor”, Accademia di Francia 1/3-12/5 2019) (1 e 3 foto SL)

Pubblicato da Sandro Lorenzatti

Archeologo e Scrivano