Con il termine reimpiego (o riuso) si indica, in archeologia, la pratica di riutilizzazione di monumenti antichi, interi o in frammenti (spolia), in un successivo contesto, con identità o differenza di funzione e/o significato. […]
L’esistenza di un grado zero del riuso implicherebbe, per l’ampiezza dei casi corrispondenti, una notevole riduzione delle speculazioni al riguardo, e sarebbe forse un bene, benché personalmente nutra delle riserve sulla possibilità di totale assenza di connotazioni culturali, certamente potrebbero essere talmente ridotte da rendere superflua l’analisi. Credo tuttavia che il punto non sia questo. Il punto sta probabilmente nella presenza della pratica del riuso in tutte le attività umane. In sostanza si ha un riuso ogni qualvolta un monumento A realizzato nello spazio As e nel tempo At sia stato riutilizzato (in se o in re) come B in Bs e Bt (eventualmente poi come C…). Poiché l’oggetto, il monumento può essere qualsiasi cosa, compreso un testo, anche la letteratura e la poesia non si sottraggono alla pratica del reimpiego. […]
Articolo pubblicato in “Versodove. Rivista di Letteratura”, 21, 2019. Clicca su immagine per leggere articolo completo.
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