Un principe intagliato nel legno

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
(Giovanni, III, 19)

Passò del tempo prima che distogliessi lo sguardo dal testo, distratto da un movimento proveniente da fuori, oltre la vetrina, dove ritto in piedi con lo sguardo fisso su di me, stava un uomo, vestito miseramente. Aveva il volto sporco e arrossato da qualche malore. Riabbassai lo sguardo sulla rivista, imbarazzato e inquietato da quell’apparizione, ma mi parve che le parole stampate si decomponessero, disegnando il suo volto. Tornai a guardare fuori, ma non c’era più. C’erano solo una strada buia, un marciapiede bagnato dalla pioggia, e una porta chiusa. Ma sul lato esterno del vetro, come se qualcuno vi avesse soffiato con forza, era comparsa una macchia lattiginosa di vapore sulla quale il freddo, riassorbendo quel poco calore che chissà come vi si era depositato, andava disegnando una strana immagine, ancora il volto di quell’uomo che solo allora mi parve di aver già visto pur essendo certo di non averlo mai visto, Quel ricordo non mi apparteneva, proveniva da un altro mondo, un mondo che voleva entrare nel mio.

(Solo un estratto di una cosa che ho finito di scrivere (che non riesco a iniziare a correggere perché finisce in modo troppo aderente ai fatti miei) al quale mi è andato il pensiero leggendo La Ginestra di Leopardi , che inizia col versetto di Giovanni citato. Ammetto di aver pensato anche alla ginestra nata sulla pietra lavica dei Baustelle, che infatti, dice Bianconi, c’entra. Ma ascoltavo Il Principe di legno di Bartók, che è un’opera bellissima, come la foto della fata, che ho stanato dalla rete, e che da allora mi impugna.)

Immagine:
Archivio Fondazione Cini
Fondo A. Milloss
“Il principe di legno”
“A fából faragott királyfi” (Un principe intagliato nel legno), prima rappr. Budapest 12 maggio 1917
Béla Bartók: musica
Béla Balázs: soggetto
Foto di scena: N. De Val nel ruolo de la fata
Venezia, Teatro La Fenice, 18 settembre 1950
Stampa gelatina ai sali d’argento su Carta

Trama (di Gloria Stafferi)

Un leggendario principe vuole sedurre una bella principessa, ma i suoi tentativi di avvicinarsi alla fanciulla vengono caparbiamente ostacolati da una fata, grazie all’intervento di una natura (formata dai fiori, gli alberi e il torrente che dividono i due castelli posti nello scenario uno dì fronte all’altro, dimora dei protagonisti) da lei opportunamente animata e resa ostile. Disperato, il principe ricorre allora ad uno stratagemma: per attirare l’attenzione della fanciulla, veste dei propri abiti (mantello, corona e parrucca) un pezzo di legno. Ma, attratta dal “giocattolo”, la principessa ignora del tutto il principe che, privato ora degli attributi del suo potere, diviene un uomo qualunque. La fata, quindi, con un nuovo sortilegio, anima l’insolito manichino, con il quale la principessa si getta in un’estatica danza. A questo punto c’è però un improvviso voltafaccia della fata: impietosita dal giovane, che tuttavia essa stessa ha fino ad ora osteggiato, la fata restituisce all’uomo i suoi orpelli principeschi (i fiori del bosco si trasformano nella parrucca, nella corona e nel mantello del giovane). Ora è la principessa a trovare attraente il principe ma, dato il suo rifiuto, essa dovrà a sua volta affrontare l’acqua e la foresta, spogliarsi dei suoi abiti, prima dì riconquistare il definitivo amore del principe.

Pubblicato da Sandro Lorenzatti

Archeologo e Scrivano

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